Contro l’ascolto del cliente

Questo articolo nasce dagli stimoli di un bel video di Matteo Bonazza sul tema dell’identità nelle strutture turistiche.

“Quando si chiede ad un albergatore perché i clienti dovrebbe venire da lui – racconta Bonazza –  la maggior parte risponde così: Qui si mangia bene; qui è pulito; qui c’è un ambiente familiare. Sono risposte che potrebbero dare tutti e da cui non emerge una vera e propria differenza di una struttura dall’altra”.

A quel punto – conclude Bonazza – quando le strutture sono tutte molto simili, il cliente decide in base al prezzo. Diventa quindi importante distinguersi, avere una identità forte e chiara per poter far capire al clienti il proprio valore (indipendente dal prezzo).

Questo è indubbiamente vero ed è uno dei problemi di molte imprese.

Ma perché è così difficile distinguersi? Perché il problema dell’identità è così marcato e solo poche strutture ricettive riescono davvero a differenziarsi? Da cosa nasce questo problema che riguarda non solo le strutture turistiche ma tutte le imprese, indipendentemente dal prodotto o servizio offerto?

Una possibile risposta su cui mi piacerebbe confrontarmi con chi legge è questa: il problema dell’identità nasce dalla paura di scontentare il cliente.

Per decenni si è detto agli imprenditori che il cliente ha sempre ragione, che il cliente è il re, che è fondamentale ascoltare e venire incontro ai bisogni dei clienti.

Questo mantra è stato interiorizzato e fatto proprio dagli imprenditori. Anche troppo.

Durante una intervista ad un albergatore chiesi quali investimenti pensava di fare nei prossimi anni. Lui mi rispose: “Una piscina”.

Il motivo era che al momento ne era sprovvisto e un 5-10% di persone non prenotava per questo motivo. Potendo di dire di avere la piscina, servizio che possedevano molti altri alberghi della zona, avrebbe potuto accontentare anche altri clienti, fornendo un servizio in più.

L’investimento della piscina, quindi, non era frutto di un progetto strategico, non era legato al differenziarsi, ma, anzi, al poter essere più simile agli altri.

Molti alberghi in Trentino – parlo del Trentino che è la zona che conosco meglio ma il discorso si può ampliare non solo ad altre zone turistiche ma anche ad altri tipi di imprese – forniscono molti servizi interessanti per i clienti: centro wellness, servizi specifici per amanti della mountain-bike, servizi per appassionati di moto, servizi per famiglie con bambini, cucina tipica molto curata ecc.

Alcuni si specializzano su pochi aspetti, altri per poter ampliare il più possibile la clientela li offrono tutti (o comunque il più possibile), ma così facendo, pur investendo tanto, perdono in distintività e riconoscibilità.

Solo chi riesce a specializzarsi davvero viene premiato dal mercato.

Un albergo specializzato in servizi per i bambini, per esempio, mi disse che aveva un progetto per un centro wellness già pronto e a basso prezzo. Poi si è chiesto: Qual è il nostro target? Noi lavoriamo con i bambini; ci serve più un centro wellness o uno spazio giochi più grande?

La risposta era facile e quell’albergatore ebbe il coraggio di essere coerente rinunciando al centro wellness tanto di moda, ma che non avrebbe aggiunto nulla alla sua clientela.

Il problema è che la coerenza implica delle scelte e dire dei no.

Lo stesso albergatore spiega che quando prenota qualcuno senza figli viene subito informato che in quel periodo ci saranno almeno 25 bambini (che molto probabilmente si comporteranno come dei bambini e quindi l’albergo non sarà del tutto silenzioso). In alcuni casi le persone accettano lo stesso, altre volte ringraziano e cercano un altro albergo. Questo non è affatto un problema: anzi, i titolari dicono che è molto meglio per loro avere una prenotazione in meno piuttosto che un cliente non soddisfatto.

Questa loro concentrazione sui servizi specifici per famiglie con bambini li sta premiando: hanno tassi di occupazione altissimi e senza nessuna intermediazione con le OTA (per es. non sono su Booking perché non ne hanno bisogno!)

Un altro caso mi pare esemplare sul rapporto tra identità e rapporto con la clientela.

Il titolare di un piccolo agritur chiedeva ai clienti di togliersi le scarpe prima di salire le scale, perché la struttura era tutta in legno e le scarpe l’avrebbero rovinata. Gli ospiti non avevano alcun problema a rispettare questa regola, anzi apprezzavano l’unicità del luogo e la chiara identità che emergeva e che permetteva una esperienza autentica.

Altri titolari di altre strutture, invece, si sentivano in imbarazzo a chiedere  al cliente di togliersi le scarpe o rispettare alcune regole, quasi che ogni richiesta potesse essere male interpretata dal cliente.

Nell’immaginario di molti albergatori il cliente si deve sentire il più possibile a suo a agio, lo si deve coccolare in tutto, senza troppe richieste. È il titolare che si deve adeguare a lui: “Se il cliente è il re, io lo devo servire e cercare di accontentarlo in ogni sua richiesta”: questo è quello che emerge in modo più o meno implicito dai racconti di centinaia di albergatori con cui mi sono confrontato.

Un principio che sta portando alla rovina moltissime strutture che per inseguire il cliente stanno perdendo di vista la risposta alla domanda più importante per un imprenditore: Qual è il mio lavoro? Cosa voglio fare? Qual è l’impresa che voglio compiere?

Chiaramente il problema non è la “coccola” al cliente, il problema è la perdita dell’identità, la paura di entrare potenzialmente in conflitto con il cliente che annulla ogni forma di autenticità che è ciò che il cliente apprezza maggiormente.

C’è una frase di una albergatrice intervistata che mi pare paradigmatica di tutto questo, “Mi arriva una newsletter interessante di Booking Blog, che dà tutti i trend del web marketing. La leggo e dico Oddio! Son giusta o no? Mi misuro”.

Da un lato è bello incontrare imprenditori che studiano e si aggiornano, ma in questo caso le nuove informazioni non servono per orientare l’azione, per avere idee stimoli, far nascere nuove domande, ma per “misurarsi”. E ciò non può che creare ansia e inadeguatezza. Il commento “La leggo e dico Oddio! Son giusta o no?” riflette tutto ciò.

L’imprenditore che cerca di adeguarsi alle richieste del mercato è sempre in ritardo, è sempre inadeguato, in un continuo rincorrere le richieste dei clienti, dei fornitori, soci, ecc. E in  questo vortice l’imprenditore rischia di perdere di vista il proprio progetto imprenditoriale e il proprio ruolo. Non è più colui che crea mondi o che ha un progetto da realizzare, ma colui che insegue i progetti e le richieste di altri.

Molti albergatori si rendono conto che non basta fare lo stesso lavoro di 20-30 anni fa quando il loro lavoro si poteva riassumere con la formula “lenzuola e spaghetti” cioè un letto per dormire e da mangiare. Però la maggior parte di loro non ha ancora trovato qualcosa che sostituisca quella formula, così chiara e precisa.

Quando si chiede loro di descrivere il loro lavoro faticano a trovare una definizione: usano frasi lunghe e confuse, parole vaghe e generiche, segno che non hanno mai riflettuto in mondo particolare sul loro progetto strategico, sulla loro impresa, schiacciati più sull’ascolto del cliente che sull’ascolto della loro idea imprenditoriale.

È risaputa la vecchia battuta di Henry Ford: «Se avessi chiesto ai clienti che cosa volevano, mi avrebbero risposto: un cavallo più veloce!» La stessa cosa disse Steve Jobs rispondendo ad un giornalista che gli chiedeva se avesse fatto ricerche di mercato prima di creare l’iPhone.

Jobs rispose che la gente non sa ciò che vuole, finché non glielo fai capire tu. Non si può chiedere ai clienti un mestiere che non sono in grado di fare. È compito dell’imprenditore progettare e creare nuovi prodotti e servizi.

Torniamo al punto inziale. Più un albergatore ha chiaro il proprio ruolo, il perché vuole fare quel mestiere, come vorrebbe trasformare il mondo grazie al suo lavoro, più la sua identità sarà chiara e riconoscibile e potrà essere percepito il suo valore.

A quel punto l’ascolto del cliente sarà un utile stimolo per migliorare e far evolvere il proprio progetto e non la bussola esclusiva che guida ogni decisione strategica.

Guai ad evolvere limitandosi ad adattarsi alle richieste dei clienti!

2 pensieri riguardo “Contro l’ascolto del cliente”

  1. Ritengo che l’imprenditore alberghiero debba coinvolgere tutta la sua struttura per (ri) definire la sua proposta di valore. Infatti, i feed-back che lui riceve dai suoi clienti sono solo una piccola parte rispetto a quelli che ricevono i suoi collaboratori. Ah! se solo i suoi dipendenti potessero parlare… (spesso sono più visionari dei loro titolari) ;)

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    1. Hai proprio ragione! Ma qui apre un altro mondo, sul tema della progettazione strategica, del coinvolgimento ecc. Per esempio, se rima di fare una modifica o un progetto nuovo coinvolgi i tuoi dipendenti, non solo hai più idee (di solito molto più valide perchè vengono da chi fa quel lavoro tutti i giorni), ma le persone sono molto più motivate (perchè quella idea l’anno avuta loro) e inoltre non devi diventar ematto a comunicare le cose, perchè i cambiamenti fatti sono stati decisi insieme. Il compito, difficile, del titolare è fare sisntesi tra le varie idee e proposte. Ma anche qui ci sono un po’ di metodi e di suggerimenti. Aggiungo un altra cosa. Un albergo di Senigallia, fra i suoi servizi ha aggiunto il “cream caramel” cioè gli animatori dell’all’albergo, la prima cosa che fanno alla mattina è quella di spalmare la crema solare ai bimbi e in cambio danno una caramella ai bimbi che si sono fatti mettere la crema. Un bel servizio per i genitori che smettono di ricorrere i figli che scappano per non farsi mettere la crema. Questo servizio è nato proprio osservano i clienti e le diffcoltà dei genitori e il titolare si è chiesto: “questo servizio lo posso fare io?”. E’ nato acoltando i bisogni dei clienti, ma è stato un ascolto “creativo”, nessun genitore è andato d alui chiededono il servzio per spalmare la crema ai figli. Quando si ha una chiara identità e una chiaro progetto strategico è facile anche “ascoltare”.

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