Una delle parole più pericolose e che invito a non usare è “competizione/competitività”.
Perché?
Perché gli studi strategici sulle imprese ci dicono che la parola “competizione” porta alla lunga alla distruzione dell’impresa, perché porta a fare sempre le stesse cose, solo leggermente diverse e con margini sempre più ridotti.
Se, invece, con competizione si intende “inventare cose nuove e uniche” e quindi non avere praticamente competitors va benissimo, però è strano, o meglio è pericoloso chiamare con la stessa parola cose tanto diverse.
“Ostinarsi a competere, quando si deve cambiare il mondo, porta a quella grande confusione collettiva che si chiama crisi”, scriveva Zanotti in un articolo illuminante del 2011.
Questo concetto è stato ripreso anche da Larry Page (co-fondatore di Google) in una intervista a Wired del 2013:
“Mi preoccupa che qualcosa di gravemente sbagliato sia accaduto nel modo in cui gestiamo le aziende.
Se leggete la copertura stampa della nostra azienda, o dell’industria tecnologica in generale è sempre tutto sulla competizione. Le notizie sono scritte come se stessero parlando di un evento sportivo.
Ma è difficile trovare esempi di cose realmente formidabili che accadono esclusivamente per la competizione.
Come può essere eccitante andare al lavoro se il meglio che puoi fare è annientare qualche altra azienda che fa più o meno la stessa cosa?”
Il termine competizione non è una “malaparola” e nello sport ha sicuramente un accezione positiva. Però il problema è proprio questo. Il mercato è come lo sport?
Lo sport è un gioco a somma zero dove uno vince e uno perde. Nel mercato invece non è così: possiamo vincere assieme o perdere tutti. E se un professionista concorrente fa male il suo lavoro, non è detto che io lavori di più.
Il problema sta solo nel’uso della parola “competere” che può significare due cose:
A) spinta a innovare, e a differenziare la propria distintività, con prodotti e servizi unici;
B) fare le stesse cose un pochino meglio ad un costo leggermente inferiore. I due modi di intendere la parola implicano scelte strategiche e modi di fare e di pensare molto diversi.
“Competere” nel senso “A” porta a crescere, porta progettualità, entusiasmo, ampi margini. “Competere” nel senso “B”, porta alla distruzione di ogni margine di profitto e alla crisi.
In conclusione è importante cambiare le parole che usiamo ed essere quasi pedanti nello specificare ciò di cui parliamo, perché “competere” è una parola che usiamo tutti i giorni, su cui c’è un generale accordo, ma che è bene mettere in discussione.
POSTILLA
E’ bene ricordare che il richiamo alla competitività che qui critichiamo nasce dalle affermazioni di M. Porter che invitava le aziende a costruire le aziende a costruire un vantaggio competitivo sostenibile che di fatto è impossibile.
Praticamente tutti più qualificati esperti di strategia hanno criticato il modello di Porter, ma fino ad ora il discorso è rimasto tra specialisti.
Poi, grazie a Luciano Martinoli, ho trovato un articolo di Forbes che parla del fallimento della società di consulenza di Porter!
In quello stesso articolo sono riassunte anche molte delle critiche qui esposte e si sostiene tra l’altro che il successo della teoria della strategia competitiva è stato solo frutto di una brillante operazione di Relazioni Pubbliche che ci siamo “bevuti tutti” un po’ ingenuamente.
Foto di Federico Modica
POST SCRIPTUM
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