L’imprenditore come custode

Riporto una sintesi della bellissima intervista di Silvia Pagliuca ad Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Dallara; una intervista che stimola numerose riflessioni per tutti coloro che sono imprenditori e hanno ruoli di responsabilità.

Secondo il McKinsey Global Institute  – chiede Silvia – quasi la metà dei lavori svolti attualmente da persone fisiche, nel mondo, tra qualche anno sarà automatizzato.

«Sì, ma attenzione, la tecnologia sarà lo strumento, non il fine. È quell’agente abilitante che ci consente di fare cose che prima erano impensabili, sia a livello progettuale sia produttivo. E tutto ciò rende la fantasia il nostro unico limite. Dunque, l’uomo sarà ancora più importante, a patto, però, che sia formato…. Perché tutti devono tornare a studiare, anche chi riveste posizioni dirigenziali».

Vale anche per lei?

«Certo. Vale per tutti, soprattutto per l’imprenditore che, a mio avviso, ha una responsabilità maggiore rispetto a chiunque altro.

A differenza del manager che deve solo perseguire degli obiettivi, l’imprenditore è un custode, prende un’azienda in consegna e deve restituirla più grande di come l’ha trovata. Non ne è l’assoluto proprietario, o forse lo è solo in maniera formale.

Adriano Olivetti è stato un precursore di questo modo di pensare: l’impresa deve essere aperta al territorio, non chiusa su se stessa, e nella globalizzazione questo è ancora più vero».

Sono questi i valori che condivide con Giampaolo Dallara?

«Sì, entrambi siamo convinti che nessuna impresa possa pensare di essere competitiva se non rende competitivo il territorio intorno a sé.

Per noi la Dallara srl è come un figlio e un genitore non lucrerebbe mai sul futuro di suo figlio. Anzi, si adopera per creare il contesto migliore in modo che, anche alla scomparsa del padre, egli possa continuare a crescere sano e forte».

Da dove deriva questa impostazione?

«Sicuramente dalla terra in cui siamo cresciuti sia io sia Giampaolo. E poi, dalle persone che ho incontrato nel corso della vita. In particolare una: Ennio Presutti, ex presidente di IBM. Lo considero il mio mentore.

Lui diceva sempre che nella vita attraversiamo tre fasi: “Learn – Earn – Serve”, ovvero c’è il momento per imparare, quello per guadagnare e, infine, quello per servire. Ecco, io sono nella terza fase, pronto a restituire ciò che ho ricevuto».

Fin qui l’intervista (ne ho riportato solo i passi per me più significativi); molto interessanti, però, sono anche alcune riflessioni che Pontremoli ha pubblicato su Linkedin.

“Ringrazio Silvia – scrive Pontremoli – per questo articolo che riflette il mio pensiero su come dovrebbe lavorare un’Impresa moderna, non è detto che sia corretto, ma è come stiamo lavorando noi.

Mi piacerebbe avere commenti per capire se è una strada condivisa anche da altri. Continuiamo a parlare di cambiamento, ma noi Imprenditori dobbiamo essere i primi ad avere il coraggio di cambiare!”.

Fra i commenti che sono seguiti all’invito di Pontremoli, oltre ai tanti elogi, mi piace riportare una riflessione stimolante e provocatoria di Federico Fioretto:

«Il tema più impegnativo del mondo dell’impresa oggi, – scrive Fioretto – accanto alla valorizzazione del potenziale dell’umano, è quella per la sostenibilità del sistema.

In questo senso l’industria dei motori e delle corse ha una doppia lamina: da un lato ha una capacità di innovare e superare i limiti del conosciuto tecnologico che è una forza straordinaria. Dall’altro, rappresenta una punta estrema dell’edonismo e del superfluo.

Sarebbe molto interessante discutere di come conciliare questi due aspetti, luce e ombra, e valorizzare attraverso innovazione e saggezza ciò che vi è di prezioso, trasformando ciò che è oscuro in un valore. Questa sì che sarebbe un’impresa straordinaria».

Il tema della sostenibilità del sistema mi pare centrale, soprattutto se consideriamo l’impresa come un figlio che deve continuare a crescere sano e forte nel tempo, per usare la bella immagine di Pontremoli.

Ed è proprio Pontremoli che ci dà uno spunto per capire come conciliare questi due aspetti nella risposta a Fioretto (una risposta sui social media, per niente scontata, anche questo segno di una persona davvero fuori dal comune).

«Federico, io penso che sia insito nell’animo umano il fatto di lavorare non solo per fini utili, ma anche per la bellezza o per il piacere della sfida.

Quando nel 1961 Kennedy disse che l’uomo sarebbe andato sulla Luna entro la fine degli anni 60, sembrava una cosa senza senso e senza utilità; ebbene quella sfida portò agli Stati Uniti migliaia di brevetti sulle comunicazioni e sui controlli di cui stiamo beneficiando ancora oggi.

Per quanto riguarda il Motorsport siamo di fronte alla continua sfida per essere più veloci che ci porta a studiare il modo più efficiente per utilizzare l’energia e questo, secondo me, porterà una ricaduta importante sulla sostenibilità del nostro Pianeta».

Questa riflessione mi ha riportato in mente quanto scritto qualche tempo fa da Luciano Martinoli nel post dal titolo “Quante aziende hanno una impresa da  realizzare?”

Il problema delle imprese è che non hanno nessuna impresa da compiere. Si fanno tanti corsi sulla motivazione, ma se c’è un impresa che ha un progetto alto, forte, bello, emozionante le persone danno il meglio di loro per realizzarlo.

Allora chiediamoci quante aziende (ma anche quante altre comunità di qualsiasi dimensione, fino ad intere nazioni) hanno Imprese da realizzare.

Scopriremo che la radice profonda dei nostri problemi è proprio questa: ma che motivazione è mai il taglio dei costi, l’aumento della produttività, la diminuzione delle tasse,ecc? 

Ci si deve attivare per cercare metodi e strumenti per far emergere Imprese e descriverle con precisione.

A tal proposito il migliore, ed estremamente pratico e concreto, suggerimento per mobilitare gli esseri umani viene da Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry:

Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito.

E tradurre “insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito” in concreti, ma non meno emozionanti e pieni di passione, piani aziendali (o di governo nazionale) dovrebbe essere il vero compito delle classi dirigenti di qualsiasi comunità“.

Questo scriveva Martinoli nel 2014 e Pontremoli sembra assolvere questo compito nel migliore dei modi: dalle sue parole emerge davvero un progetto imprenditoriale, bello, forte, emozionante.

Una lezione per ogni imprenditore che – per usare le sue parole – non è il proprietario assoluto, ma il custode.

Una rivoluzione del linguaggio che è anche una rivoluzione del modo di pensare, di progettare, di lavorare.

POST SCRIPTUM

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