La vita è un cammino…e quella dell’azienda pure. Una considerazione sistemica

Riporto una sintesi del post di Luciano Martinoli che – partendo dalle considerazioni di Enrico Pezzi sull’innovazione e la difficoltà delle imprese a “camminare” – riflette più in generale sulle differenze fra i sistemi viventi (come l’impresa) e le macchine.

Un computer – scrive Martinoli – si può spegnere e riaccendere a piacere, il sistema respiratorio umano, quello circolatorio, l’immunitario, ecc., se si fermano muoiono, portando al decesso l’intero organismo, senza nessuna possibilità di “riaccendersi”. Respirare significa farlo di continuo, in alternativa il sistema si dissolve.

La vita dunque, non solo quella biologica, è un cammino perché vivere significa andare da qualche parte, non rimanere fermi, l’alternativa, è la morte, altre opzioni non esistono.

Le aziende sono sistemi autopoietici e condividono le stesse dinamiche dei sistemi viventi.

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L’imprenditore come custode

Riporto una sintesi della bellissima intervista di Silvia Pagliuca ad Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Dallara; una intervista che stimola numerose riflessioni per tutti coloro che sono imprenditori e hanno ruoli di responsabilità.

Secondo il McKinsey Global Institute  – chiede Silvia – quasi la metà dei lavori svolti attualmente da persone fisiche, nel mondo, tra qualche anno sarà automatizzato.

«Sì, ma attenzione, la tecnologia sarà lo strumento, non il fine. È quell’agente abilitante che ci consente di fare cose che prima erano impensabili, sia a livello progettuale sia produttivo. E tutto ciò rende la fantasia il nostro unico limite. Dunque, l’uomo sarà ancora più importante, a patto, però, che sia formato…. Perché tutti devono tornare a studiare, anche chi riveste posizioni dirigenziali».

Vale anche per lei?

«Certo. Vale per tutti, soprattutto per l’imprenditore che, a mio avviso, ha una responsabilità maggiore rispetto a chiunque altro.

A differenza del manager che deve solo perseguire degli obiettivi, l’imprenditore è un custode, prende un’azienda in consegna e deve restituirla più grande di come l’ha trovata. Non ne è l’assoluto proprietario, o forse lo è solo in maniera formale.

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Basta con la cassetta degli attrezzi

Si abusa sempre di questo termine “cassetta degli attrezzi”.

Deve essere una cosa figa del marketing – scrive ironicamente Cristano Carriero in un suo post. La verità è che io non so riparare nemmeno una tapparella, eppure casa mia è piena di attrezzi… Fuor di metafora, io credo che un corso di formazione non debba lasciare una cassetta degli attrezzi, ma solcare delle vie da percorrere.

Prendo spunto da questa riflessione di Carriero per un approfondimento su questo termine “abusato” e “sbagliato”. Sbagliato perché evoca un’idea falsa della formazione.  

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La formazione per macchine banali

Sul sito di una delle più grandi agenzie di lavoro interinale ho trovato questa frase sul tema “FORMAZIONE” che mi ha lasciato stupefatto (non è importante citare l’azienda, ma riflettere sugli impliciti di questa idea di formazione).

Il nostro team composto da esperti in materia, leader di pensiero, formatori di livello mondiale e designer, incrementa il valore della nostra offerta attraverso un ricco set di soluzioni di apprendimento basato sulla ricerca, garantendo il raggiungimento degli obiettivi“.

Cioè questa azienda garantisce il raggiungimento degli obiettivi in un percorso di formazione!!! Ma come si fa a garantire il raggiungimento degli obiettivi parlando di formazione?

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Il margine: luogo privilegiato per la bellezza, l’innovazione e l’apprendimento.

“Ho sempre amato i luoghi di confine tra due culture: Trieste il mare e la Mitteleuropa; Venezia che non appartiene al Veneto ma all’oriente; la Provenza, uno dei tanti sud del mondo, un ponte tra l’Italia e la Spagna, una Francia lenta, ebbra dei suoi paesaggi, intrinsecamente meridionale nello stile di vita; l’Andalusia araba; la mia amata Sicilia, greca, araba e normanna, spagnola, barocca nei suoi dolci e nei suoi palazzi , un pezzo di medioriente in Europa.

Cosa hanno questi luoghi in comune?

Sono tutti luoghi bellissimi, ma soprattutto sono luoghi di contaminazione, dove le culture si sono mescolate, arricchite, integrate”.

Questo scriveva Paolo Broccoli in un bel post su Linkedin.

IL MARGINE. Alla riflessione di Broccoli aggiungo un mio personale punto di vista: che ciò che caratterizza questi luoghi – che sono luoghi di confine – è il fatto di essere al margine.

Il margine è sia una parola negativa, come nell’espressione “essere al margine”, perché indica la periferia, la non centralità, l’essere escluso. Ma “avere margine” indica una potenzialità, una possibilità.

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Nessuno è necessario, ognuno è indispensabile

Ogni buon manuale di management insegna che nessuna persona dell’organizzazione dovrebbe essere indispensabile.

E’ facilmente comprensibile come la presenza di persone “indispensabili” crei tanti problemi organizzativi. Cosa succede se si ammalano? Se vanno in ferie? Se hanno un impegno? Se cambiano azienda?

Quello che è perfettamente logico e razionale da un punto di vista dell’organizzazione cambia molto dal punto di vista individuale: infatti, quella di rendersi insostituibili, è una tentazione molto forte che serve a placare l’ansia, a esorcizzare la paura di restare senza lavoro e a dare un senso e un fine a quel che si fa, come scrive Annamaria Testa nell’articolo Resistere alla tentazione di sentirsi indispensabili.

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L’organizzazione non è una macchina

In questo post mi piace riflettere sulla metafora meccanicistica: una delle più usate quando ci riferiamo all’impresa, se pensiamo ad espressioni come “la macchina deve ripartire”, “qualcosa si è inceppato”, “il motore dell’azienda”, “la macchina burocratica”, “l’organizzazione gira come un ingranaggio perfettamente oliato” ecc.

La metafora ha un ruolo importante e diversi studi mostrano come eserciti una influenza sul mostro modo di pensare e concepire il mondo. Da una parte ci permette di capire cose importanti dall’altra è sempre fuorviante perché incompleta e falsa.

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