Affrontare i micro-conflitti lavorativi: ipotesi e nuovi sguardi

Ripropongo una sintesi di un articolo di Franca Olivetti Manoukian: “Ri-conoscere i conflitti nelle  organizzazioni di lavoro” .

Le riflessioni della Manoukian, sono molto dense, richiedono una lettura paziente e attenta, ma ci aiutano a vedere con una nuova luce i problemi e i conflitti quotidiani: sono situazioni che spesso incontriamo nella nostra attività professionale che causano malumori, sofferenze, demotivazioni, bloccando le potenzialità creative e produttive di cui ogni organizzazione non può fare a meno.

Normalmente si tende a pensare che nelle organizzazioni ci sia un eccesso di conflitti, ma in realtà molto spesso i conflitti sono negati, tenuti nascosti. E allora il problema maggiore non è l’eccesso di conflitti, ma l’accesso ai conflitti.

Solo conoscendo i conflitti, dando loro un nome è possibile affrontarli e gestirli. L’articolo della Manoukian è importante perché fornisce alcune chiavi per leggere e comprendere in modo inedito situazioni che ci sembrano bloccate.

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Cellule e team building: perché la formazione motivazionale è inutile e dannosa

Qualche giorno fa Massimo Targa su Il Sole 24 ORE ha pubblicato un bell’articolo dove sottolineava la deriva del tema building e di tutti i corsi motivazionali: camminate su carboni ardenti, orienteering, corde alte, rafting e vela, rugby ecc. Non c’è azienda che, per ri-motivare, ri-ingaggiare, ri-allineare, ri-formare le proprie persone, non si sia lasciata prendere la mano  con le proposte più varie per rafforzare la motivazione e la passione dei propri manager e dipendenti.

Tuttavia sarebbe quanto meno opportuno chiedersi se tali esperienze formative siano sempre utili, efficaci, mirate e necessarie.

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Nuove mappe per le imprese – 2 marzo 2018 (TN)

C’è un disallineamento tra quanto la scienza sa e ciò che le imprese praticano. Ci sono tante scoperte delle scienze sociali – psicologia, neuroscienze, antropologia, filosofia, scienze della complessità ecc – che dimostrano tante cose su come siamo fatti e su come ci comportiamo, come apprendiamo, come motiviamo le persone, a quali condizioni possiamo creare qualcosa di nuovo e innovare.

Ebbene, spesso facciamo l’opposto. Non perché siamo stupidi o cattivi. A volte è proprio il buon senso o l’intuito che ci frega. Il buon senso era anche quello che ci faceva credere che la terra fosse piatta oppure che fosse il sole a girare intorno alla terra. Non sembra forse cosi?

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Il margine: luogo privilegiato per la bellezza, l’innovazione e l’apprendimento.

“Ho sempre amato i luoghi di confine tra due culture: Trieste il mare e la Mitteleuropa; Venezia che non appartiene al Veneto ma all’oriente; la Provenza, uno dei tanti sud del mondo, un ponte tra l’Italia e la Spagna, una Francia lenta, ebbra dei suoi paesaggi, intrinsecamente meridionale nello stile di vita; l’Andalusia araba; la mia amata Sicilia, greca, araba e normanna, spagnola, barocca nei suoi dolci e nei suoi palazzi , un pezzo di medioriente in Europa.

Cosa hanno questi luoghi in comune?

Sono tutti luoghi bellissimi, ma soprattutto sono luoghi di contaminazione, dove le culture si sono mescolate, arricchite, integrate”.

Questo scriveva Paolo Broccoli in un bel post su Linkedin.

IL MARGINE. Alla riflessione di Broccoli aggiungo un mio personale punto di vista: che ciò che caratterizza questi luoghi – che sono luoghi di confine – è il fatto di essere al margine.

Il margine è sia una parola negativa, come nell’espressione “essere al margine”, perché indica la periferia, la non centralità, l’essere escluso. Ma “avere margine” indica una potenzialità, una possibilità.

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Nessuno è necessario, ognuno è indispensabile

Ogni buon manuale di management insegna che nessuna persona dell’organizzazione dovrebbe essere indispensabile.

E’ facilmente comprensibile come la presenza di persone “indispensabili” crei tanti problemi organizzativi. Cosa succede se si ammalano? Se vanno in ferie? Se hanno un impegno? Se cambiano azienda?

Quello che è perfettamente logico e razionale da un punto di vista dell’organizzazione cambia molto dal punto di vista individuale: infatti, quella di rendersi insostituibili, è una tentazione molto forte che serve a placare l’ansia, a esorcizzare la paura di restare senza lavoro e a dare un senso e un fine a quel che si fa, come scrive Annamaria Testa nell’articolo Resistere alla tentazione di sentirsi indispensabili.

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Leader di settore e numeri due

Siamo circondati da aziende che si dichiarano leader di settore. Enrico Verga in un suo post su Linkedin si chiedeva ironico se esiste una azienda che NON sia leader del suo settore?

“Perchè tra Facebook, Twitter, Linkedin ogni volta che leggo in italiano o inglese la short bio di un azienda leggo sempre “leader di settore o azienda Leader. Cioè seguendo questa logica dovremmo avere non 1 ma 1 milione di Microsoft, non 1 ma 1 milione di Apple ( x usare due esempi a mio avviso importanti nei loro settori). Non so, forse capita solo a me di incappare in aziende leader ?”

La provocazione di Enrico Verga è interessante perché evidenzia come l’affermazione “leader di settore” sia una espressione ormai logora, banale, e non aggiunga nessuna informazione in più.

Una soluzione potrebbe essere quello dire la verità: non c’è nulla di più spiazzante e inatteso.

Forse la campagna pubblicitaria di AVIS degli anni ’60 – in cui l’azienda ebbe il coraggio di dichiararsi n. 2 del settore – ha ancora qualcosa da insegnare alle imprese di oggi.

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Sapere cosa si sta facendo

Le imprese sono sempre più ossessionate dal tema delle misure (e del controllo), ma  di fronte a sistemi complessi come sono le organizzazioni il punto non è trovare nuovi protocolli o misure più attendibili, ma cercare nuovi linguaggi e nuove pratiche.

Ecco come affrontava il tema Karl Weick in uno dei più bei libri di Management: Organizzare. La psicologia sociale dei processi organizzativi.

In una pagina in cui descrive il pesce “mexican sierra”, mostra come la pratica della misurazione descriva solo una minima parte della realtà, forse la meno importante. E per farlo la trasforma, con un impatto tutt’altro che neutro!

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L’inadeguatezza del nostro sapere di fronte alle nuove sfide tecnologiche

Riporto in quest’articolo una sintesi dell’intervento di Stefano Tomelleri, professore associato all’Università di Bergamo, ad un seminario tenutosi a Trento nel 2006.

Sono passati oltre 10 anni, ma i problemi che tocca sono sempre più attuali; Tomelleri, infatti, racconta gli esiti sorprendenti di una ricerca sui problemi che la tecnologia pone ai medici nelle situazioni di fine vita.

Gli spunti di riflessione sono innumerevoli, non solo per chi direttamente si occupa di medicina, ma per tutti coloro che vogliono capire le sfide che le nuove tecnologie ci pongono: sfide che possono essere affrontate e gestite solo con nuovi linguaggi e nuovi modi di pensare che integrino i vari saperi; perché un problema tecnologico non può essere risolto esclusivamente con una nuova tecnologia.

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Il paradosso del potere

Una sintesi dell’articolo di Annamaria Testa sul “perché le persone di potere badano solo a se stesse” e una riflessione per superare la situazione attuale.

“Che cosa frulla nella mente delle persone di potere? Ce lo domandiamo – e capita non di rado – quando i loro comportamenti ci appaiono contraddittori, o poco comprensibili, o così arroganti da essere difficili da sopportare. Un recentissimo articolo uscito sull’Atlantic ci invita a porci la domanda in termini più radicali: che cosa accade al cervello delle persone di potere?

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Dai cavalli alle comunità: evoluzione del ruolo manageriale

Condivido con piacere questo articolo di Alessandro Cravera che propone una interessante riflessione sul ruolo del Manager. Aggiungendo una divertente, ma non banale, spiegazione etimologica.

Competere nella complessità

kebio_maneggioQual è lo scopo di un manager nei confronti del proprio team? Si prendano ad esempio queste due differenti interpretazioni (Figura 1).

Figura 1 : Due interpretazioni del ruolo manageriale

ruolo manageriale

Di fronte a questa duplice visione di ruolo, i manager tendono a polarizzarsi. Vi sono alcuni che scelgono, senza alcun dubbio, la versione di sinistra, altri, altrettanto senza esitazione, quella di destra. Fanno quindi lo stesso mestiere ma, di fatto, compiono gesti e azioni molto differenti tra loro.

Una delle ragioni di questa eterogeneità risiede nel fatto che si tratta di un mestiere in transizione. Gestire un gruppo di persone oggi è molto diverso rispetto a venti, quaranta, cento o cinquecento anni fa. Tutti i mestieri hanno subito grandi evoluzioni nel corso degli anni. Tali cambiamenti sono stati però in larga parte generati dall’utilizzo di strumenti diversi, non hanno modificato lo scopo profondo della professione. Un costruttore di cattedrali del…

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