Il margine: luogo privilegiato per la bellezza, l’innovazione e l’apprendimento.

“Ho sempre amato i luoghi di confine tra due culture: Trieste il mare e la Mitteleuropa; Venezia che non appartiene al Veneto ma all’oriente; la Provenza, uno dei tanti sud del mondo, un ponte tra l’Italia e la Spagna, una Francia lenta, ebbra dei suoi paesaggi, intrinsecamente meridionale nello stile di vita; l’Andalusia araba; la mia amata Sicilia, greca, araba e normanna, spagnola, barocca nei suoi dolci e nei suoi palazzi , un pezzo di medioriente in Europa.

Cosa hanno questi luoghi in comune?

Sono tutti luoghi bellissimi, ma soprattutto sono luoghi di contaminazione, dove le culture si sono mescolate, arricchite, integrate”.

Questo scriveva Paolo Broccoli in un bel post su Linkedin.

IL MARGINE. Alla riflessione di Broccoli aggiungo un mio personale punto di vista: che ciò che caratterizza questi luoghi – che sono luoghi di confine – è il fatto di essere al margine.

Il margine è sia una parola negativa, come nell’espressione “essere al margine”, perché indica la periferia, la non centralità, l’essere escluso. Ma “avere margine” indica una potenzialità, una possibilità.

Il margine è uno spazio – come il confine che non è mai un muro o una linea – è uno spazio in cui avvengo possibilità inedite. I territori descritti da Paolo Broccoli sono tutti territori che nel periodo massimo splendore hanno avuto margine e – nello stesso tempo – erano al margine.

IL MARGINE NELLE IMPRESE. Se il margine è lo spazio della possibilità, dell’inedito e quindi il luogo privilegiato dell’innovazione e dell’apprendimento, la domanda che ci dobbiamo porre nel gestire le organizzazioni è: “Che ruolo assume il margine nelle nostre imprese? Che margine lasciamo al lavoro delle persone che collaborano con noi? Esiste un margine? E’ tutto previsto e predefinito? Fino a che punto?”

RESPONSABILITA’. Si parla tanto dell’importanza che le persone si assumano le proprie responsabilità; ma la responsabilità è sempre collegata all’incertezza del risultato, altrimenti l’azione sarebbe il semplice risultato dell’esito di una procedura. Nelle nostre organizzazioni come avvengono le scelte? Sono l’esito di una procedura? Quanto spazio c’è per la responsabilità? E come gestiamo e diamo valore all’incertezza?

Se consideriamo il linguaggio con cui il management descrive il proprio operato emergono con evidenza diversi casi in cui il “margine” e “l’incertezza” sono aboliti. Un esempio illuminante è l’espressione qualità totale.

“La conseguenza più importante – nota Ugo Morelli in un recente articolo – è che quando un fenomeno è “ “totale” assume una ben strana caratteristica: non è più perfettibile.

È basato perciò sulla negazione dell’incertezza e non sulla disposizione ad apprendere da incertezza ed errori. È portatore di assenza di spazi di miglioramento e innovazione. Assume connotazioni totalitarie che non si concedono l’esercizio del dubbio”.

In questo caso non c’è margine.

MACCHINE. Un ultima annotazione. Molto spesso le aziende vengono descritte come delle macchine, come dei motori che se ben oliati funzionano perfettamente, altrimenti si possono inceppare. Ebbene non ci può essere “margine” trai vari pezzi meccanici, tra un cilindro e il suo pistone il margine deve essere limitatissimo, quasi nullo.

Il cilindro non ha margine e se glielo diamo funziona male, Le persone invece devono avere un margine di scelta e se glielo riduciamo troppo “funzionano” male.

Ricordiamocelo quando parliamo dell’organizzazione come di una macchina. In certi casi può essere necessario ridurre a zero il margine, magari per evitare errori. Va benissimo, però sappiamo che in questi casi abbiamo un luogo dove difficilemente ci sarà spazio per l’innovazione, per l’inedito e anche per la bellezza.

4 pensieri riguardo “Il margine: luogo privilegiato per la bellezza, l’innovazione e l’apprendimento.”

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