La paura del potere

Chi si trova in posizioni di responsabilità e quindi di “potere” spesso si trova a dover fare i conti con le molteplici forme di esercizio potere che possono assumere connotazioni estremamente negative –  quando, per esempio, prevalgono aspetti legati all’abuso, al sopruso, all’egoismo – o estremamente positive quando, per esempio prevalgono gli aspetti generativi e creativi legati al potere come possibilità.

Oltre a questi aspetti non è da trascurare il tema della paura – non solo riferimento a chi subisce il potere – ma anche in chi lo deve esercitare.

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Neuroscienze e conflitto

Il seguente post è una sintesi di un precedente articolo di Ugo Morelli che esaminava il rapporto fra gli studi e le ricerche in corso nel campo delle neuro-scienze e nel campo del conflitto. In particolare, lasciando stare i tecnicismi, mi pareva fondamentale riprendere alcune domande:

  • Cosa c’entrano i neuroni con il tema del conflitto?
  • La scoperta dei “neuroni specchio” che contributo può portare alla scienza dei conflitti?
  • Perché questi studi dimostrano l’impossibilità di un “Manuale per la risoluzione dei conflitti”?

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Un consiglio: impari da Platini

Sul ruolo del consulente chiamato a risolvere e gestire problematiche relazionali, mi piace ricordare un aneddoto su Edgar Morin citato da Ugo Morelli.

In un seminario di formazione per formatori e consulenti, Morelli rifletteva sul ruolo del consulente o dell’esperto chiamato a risolvere situazioni conflittuali e sottolineava come fosse fondamentale, ancora più della competenza tecnica del consulente, il processo che veniva attivato.

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Il margine: luogo privilegiato per la bellezza, l’innovazione e l’apprendimento.

“Ho sempre amato i luoghi di confine tra due culture: Trieste il mare e la Mitteleuropa; Venezia che non appartiene al Veneto ma all’oriente; la Provenza, uno dei tanti sud del mondo, un ponte tra l’Italia e la Spagna, una Francia lenta, ebbra dei suoi paesaggi, intrinsecamente meridionale nello stile di vita; l’Andalusia araba; la mia amata Sicilia, greca, araba e normanna, spagnola, barocca nei suoi dolci e nei suoi palazzi , un pezzo di medioriente in Europa.

Cosa hanno questi luoghi in comune?

Sono tutti luoghi bellissimi, ma soprattutto sono luoghi di contaminazione, dove le culture si sono mescolate, arricchite, integrate”.

Questo scriveva Paolo Broccoli in un bel post su Linkedin.

IL MARGINE. Alla riflessione di Broccoli aggiungo un mio personale punto di vista: che ciò che caratterizza questi luoghi – che sono luoghi di confine – è il fatto di essere al margine.

Il margine è sia una parola negativa, come nell’espressione “essere al margine”, perché indica la periferia, la non centralità, l’essere escluso. Ma “avere margine” indica una potenzialità, una possibilità.

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Due storie di fallimento. Perché cambiare è così difficile anche quando i vantaggi sono evidenti.

FALLIMENTO 1 . La storia seguente è ripresa quasi integralmente dall’articolo “La mia storia di fallimento preferita” di Mirco Di Porzio.

Il Dottor Semmelweis nel 1846 lavorava all’ospedale generale di Vienna. In quel periodo la febbre puerperale faceva stragi: la percentuale di decessi delle donne che partorivano era intorno all’11%.

Un medico molto amico del Dott. Semmelweis stava praticando un’autopsia ad una donna deceduta per cercare di studiare il fenomeno, quando si tagliò leggermente con un bisturi sporco. Nel giro di qualche giorno morì, presentando sintomi simili a quelli della donna.

A questo punto al Dottor Semmelweis venne un’idea: “Ma non è che ci sono delle cosine invisibili che si trasferiscono con il contatto e causano la malattia?”.

Così impose il lavaggio igienico delle mani a chi dovesse toccare le donne che partorivano. Già che c’era, impose anche il cambio delle lenzuola.

Nel giro di 2 anni la percentuale di decessi scese dal 11% alll’1%.

Ma ecco l’errore di Semmelweis: non aveva curato i rapporti con la comunità intorno a lui. La qualità del suo lavoro avrebbe dovuto parlare da sola. Ma non funziona mai così.

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L’organizzazione non è una macchina

In questo post mi piace riflettere sulla metafora meccanicistica: una delle più usate quando ci riferiamo all’impresa, se pensiamo ad espressioni come “la macchina deve ripartire”, “qualcosa si è inceppato”, “il motore dell’azienda”, “la macchina burocratica”, “l’organizzazione gira come un ingranaggio perfettamente oliato” ecc.

La metafora ha un ruolo importante e diversi studi mostrano come eserciti una influenza sul mostro modo di pensare e concepire il mondo. Da una parte ci permette di capire cose importanti dall’altra è sempre fuorviante perché incompleta e falsa.

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