Se avete qualche minuto di tempo guardate questo video di Emilie Wapnick che ho scoperto grazie ad un bell’articolo di Oscar di Montigny.
L’idea di Wapnick parte dal fatto che la domanda “Che cosa vuoi fare da grande?” non è solo antiquata o inopportuna, è anche altamente dannosa. Ci può spingere a pensare che occorre scegliere un solo lavoro, una sola passione, essere una cosa sola. Ma siamo sicuri che sia così?
Quanti di noi da ragazzini si sono sentiti spaesati di fronte a questo quesito esistenziale e quanti si sono sentiti stupidi o limitati nel non riuscire a dare una risposta univoca? Inoltre “Che cosa vuoi fare da grande?” è una domanda che ci racconta di un mondo ormai superato; l’epoca in cui una persona iniziava a fare un lavoro appena dopo la scuola e continuava a fare quello fino all’età della pensione è ampiamente finita.
Emilie Wapnick nota come questa idea della vita strettamente focalizzata sia molto romanzata nella nostra cultura: è l’idea di destino o dell’unica vera vocazione. L’idea che tutti hanno un’unica grande cosa che sono destinati a fare nella vita su questa Terra, e bisogna capire quale sia quella cosa e dedicarvi la vita.
“Ma se non siete fatti in questo modo? Se siete curiosi di tanti argomenti diversi, e volete fare cose diverse? Non c’è spazio per qualcuno come voi in questo quadro. Quindi potreste sentirvi soli. Potreste avere la sensazione di non avere uno scopo, o che ci sia qualcosa di sbagliato in voi. Non c’è niente di sbagliato in voi. Siete un “multipotenziale”.
I multipotenziali sono proprio quelli che non riescono e non riusciranno mai a dare una risposta unica a quella domanda tanto fatidica, perché magari hanno interessi troppo profondi o diversi o perché hanno talmente tante idee da non poterle incasellare in un’unica attività lavorativa.
Il multipotenziale in realtà non è una vera e propria novità. Questo tipo di personalità affonda infatti le sue radici nell’uomo del Rinascimento, periodo in cui era ritenuto ideale il fatto di essere portato per molte discipline, invece di specializzarsi in una cosa soltanto; pensate solo a Michelangelo: l’autore della Capella Sistina, era soprattutto uno scultore!
Il merito della Wapnick è sicuramente quello di aver riportato alla ribalta il concetto di multipotenzialità, e di aver spiegato alle persone che non si tratta di una limitazione o di un difetto.
Addirittura ha identificato i “tre super poteri dei multipotenziali”.
Uno: sintesi di idee. Cioè, riescono combinare due o più campi e creare più facilmente qualcosa di. L’innovazione nasce nelle intersezioni. È lì che vengono fuori nuove idee. E i multipotenziali, con tutte le loro conoscenze e competenze, sono capaci di accedere a molti di questi punti di intersezione.
Due: rapido apprendimento. Quando i multipotenziali si interessano a qualcosa apprendono velocemente. Inoltre sono abituati ad essere principianti, perché sono stati abituati a essere principianti molte volte in passato, e questo significa che sono meno timorosi di provare nuove cose e di uscire dalla nostra zona comfort. Inoltre, molte capacità sono trasferibili tra le diverse discipline, e portano tutto ciò che hanno imparato in ogni nuova area a cui si dedicano, quindi raramente iniziano da zero.
Tre: Adattabilità. Cioè, la capacità di assumere diversi ruoli e una grande flessibilità.
Su questo terzo punto Wapnick è molto sintetica e mi piace fare una precisazione.
Il tema non è semplicemente adattarsi al mercato che evolve come se il mercato fosse qualcosa di altro da noi. Il tema è quello di essere flessibili, ma nello stesso tempo costruire qualcosa che al momento non c’è e quindi avere potenzialità e margine per evolvere.
Il tema dell’adattabilità rischia di sottolineare una certa passività: il mondo cambia e quindi mi devo adattare. Non è solo così’.
L’adattabilità – quindi avere un certo margine per evolvere – permette di innovarsi e nello stesso tempo creare nuovi ambienti e nuove imprese,che richiedono nuove competenze e nuove professionalità. L’ambiente ci influenza e noi influenziamo l’ambiente in gioco ricorsivo e continuo.
Nel termine adattabilità mi pare si perda la parte “attiva” di costruzione e di progettazione che invece è insita nei multipotenziali che innovano e creano qualcosa di nuovo. Se volessimo usare un’altra parola a me piace il termine margine, luogo privilegiato per l’innovazione e l’apprendimento a cui avevo già dedicato un post in precedenza.
Wapnick conclude l’intervento sottolineando il fatto che non si tratta di considerare i multipotenziali meglio degli specialisti, anzi: alcune delle migliori squadre sono composte da specialisti e multipotenziali affiancati. Lo specialista può scavare a fondo e implementare idee, mentre il multipotenziale fornisce una mole di conoscenze al progetto. È una bella collaborazione.
Purtroppo i multipotenziali sono stati spesso incoraggiati solo ad essere come i loro colleghi specialisti, ma non devono più sentirsi a disagio: il mondo ha bisogno di loro!
Ciao Stefano,
Gran bell’articolo e analisi dei multipotenziali
Sai sono multipotenziali anche io e l’ho scoperto pochi anni fa, grazie ad un articolo su un blog che mi ha catapultato in questo mondo così diverso e affascinante.
Da quel giorno ho cercato di imparare più possibile su di me e sui multipotenziali, ho applicato tecniche su tecniche per capire come sfruttare queste multi- potenzialità.
Da tutta questa fase di ricerca è nato un progetto sui multipotenziali: la prima community in Italia in cui i multipotenziali possano sentirsi liberi di confrontarsi, scambiarsi esperienze, strategie e, perché no, network e collaborazioni.
Il progetto è solo all’inizio, siamo in pochi.. ma quello che spero è che la voce giro in fretta per iniziare a farci sentire e riconoscere come personalità speciali da “sfruttare” secondo le proprie naturali inclinazioni.
Se vuoi saperne di più scrivimi pure 😉
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