Leadership: non c’è rispetto, senza conflitto

Questa riflessione prende spunto da un bell’articolo di Riccardo Bordignon sulla leadership.

Bordignon scrive una frase, per niente banale, che mi piace riprendere e approfondire: “La leadership ha a che fare con il rispetto, con l’accettazione della diversità dell’altro e la consapevolezza che rappresenta una ricchezza, ha a che fare con la cultura e la crescita personale”.

Cosa significa che la leadership ha a che fare con il rispetto? Che cos’è il rispetto?

Non è un caso che questa parola, “rispetto”, si usi nella scherma per indicare la giusta distanza per iniziare il duello, una distanza che viene appunto definita “distanza di rispetto”.

Il rispetto dell’altro, e quindi una certa distanza, è fondamentale per costruire e permettere un buon incontro (e valorizzare le differenze).

Il problema si ha in due casi.

Da un lato quando non esiste “rispetto”, perché  – più o meno metaforicamente – si calpesta e si schiaccia il dipendente in quanto “inferiore gerarchicamente”.

Ma il problema c’è anche per un “eccesso di rispetto”. In questo caso pur dichiarando “rispetto” per l’altro, almeno a parole, in realtà c’è una totale indifferenza (che è ben diversa dal rispetto).

 L’eccesso di rispetto richiama ad una distanza di sicurezza che mi mette al riparo, evitando il rischio di un incontro che può mettermi in pericolo e in discussione: in questo caso il rispetto non è ascolto, accoglienza, ma distanza, separazione, non ascolto.

A livello di dichiarato siamo tutti d’accordo che il rispetto dell’altro è fondamentale, ma è bene sottolineare che il tema dell’ascolto, del dialogo, del rispetto dell’altro è un tema profondamente conflittuale se portato avanti in modo coerente e non solo in modo ideologico

“Rispettare l’altro e le sue differenze” significa ritenere che l’altro possa avere ragione anche se io non sono d’accordo; per rispettare l’altro devo capire il suo linguaggio, mettermi in sintonia con lui, ascoltarlo.

E ascoltare, ascoltare in modo attivo, significa mettersi nei panni dell’altro, assumere il suo punto di vista; significa, quindi, fare spazio all’altro dentro di noi, permettere all’altro di entrare in noi.

È un esercizio che non può non suscitare un forte conflitto interno, perché ascoltare l’altro significa, almeno in parte, togliere spazio a noi stessi, alla nostra autonomia, al nostro modo di vedere il mondo e richiede un grande sforzo.

La pratica del dialogo e della valorizzazione delle differenze è fonte di sviluppo solo se se ne accetta e se ne riconosce l’alto contenuto conflittuale che comporta per gli attori in gioco: il lasciarsi “penetrare” dall’altro e il mettere in gioco le proprie certezze.

Se si nega il conflitto, e quindi l’incontro, non c’è valorizzazione dell’altro o crescita personale, ognuno rimane nella propria posizione iniziale a grande distanza dall’altro.

È questo il rischio che si può correre quando si parla genericamente di rispetto. L’eccesso di rispetto, non è rispetto perché non è “accettazione della diversità” – per usare le parole  di Bordignon – ma un mettersi al riparo dalla diversità.

1 commento su “Leadership: non c’è rispetto, senza conflitto”

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