Questo articolo riprende alcuni degli spunti più significativi emersi durante un intervento formativo con gli studenti della terza media sul tema: “il conflitto tra adolescenti e genitori”.
Il seminario è di qualche anno fa, ma gli stimoli sono ancora attuali, non solo per chi si occupa di educazione, ma per tutti per coloro che nelle organizzazioni sono interessati alla formazione, al conflitto, alla relazione (la versione integrale dell’articolo è consultabile sul di Polemos alla pagina: http://www.studioakoe.it/polemos/doc_paper/86.html ).
Obiettivi. La complessità del tema, e il fatto di affrontare un argomento molto attuale, quasi “di moda”, su cui tutti avrebbero voluto consigli o soluzioni miracolose, ha imposto – a me e Sara Buganè con la quale abbiamo progettato e realizzato il seminario – un lungo lavoro preparatorio per esplorare i rischi e gli obiettivi consentiti dall’intervento formativo.
L’obiettivo era sottolineare la normalità e necessità del conflitto adolescenti-genitori, togliendo quella cappa di pesantezza e ansia che spesso caratterizza seminari di questo genere; in altre parole, evidenziare che eventuali problemi non sono sintomi patologici, bensì costitutivi di ogni sana relazione.
Immagini stimolo. Una delle preoccupazioni era quella di non riuscire a creare quel clima di fiducia necessario per poter parlare e confrontarsi liberamente, ma questo non è stato un problema: i ragazzi avevano voglia di raccontare e parlare dei loro genitori, senza mostrare nessuna paura a confidarsi. Inoltre ci ha meravigliato la profondità e la precisione delle loro argomentazioni, mai banali o stereotipate, spesso spiazzanti.
Abbiamo mostrato loro alcune immagini di cartoni animati come i Simpons, la matrigna di Cenerentola con le sorellastre, Paperone e Snoopy, chiedendo un commento sulle varie situazioni. Fra le immagini ce n’era una con Omer che dorme sul divano e Burt seduto sulla sua pancia che guarda la tv (Fig. 1).
Fig . 1. Una delle immagini-stimolo usate in aula.
Homer e le regole. La nostra ipotesi iniziale era che i ragazzi potessero desiderare un padre come Homer, divertente e permissivo, e ci eravamo preparati alla discussione per sottolineare i limiti di un tale modello educativo. In realtà i ragazzi ci hanno spiazzato perché nessuno ha riconosciuto in Homer un modello, definendolo, invece: “menefreghista”, “poltrone”, “irresponsabile”. E’ vero che lascia fare a Burt quello che vuole ma questo non basta, nessuno avrebbe voluto un padre come lui.
Sono emerse fin da subito una serie di riflessioni non banali e per nulla scontate sul rapporto con i genitori. Commentando una immagine con Zio Paperone, per esempio, i ragazzi lo hanno definito “severo” e alla domanda se essere severi è bene o male hanno risposto: “dipende”, “dipende dalle regole”, evidenziando come non fossero allergici al concetto di regola in quanto tale.
Margie. Una immagine raffigurante Margie e Liza aveva fatto scaturire un bel dibattito in quanto alcune ragazze si riconoscevano perfettamente in Liza, affermando che Margie è poco stimolante (“come la loro mamma”) e consiglia di fare cose che anche lei non vorrebbe fare. A questo proposito una ragazza ha detto: “mia mamma dice delle cose a cui non crede nemmeno lei, ma le dice solo perché ha paura della realtà”.
Ascolto. Prima di iniziare gli incontri ci eravamo preparati per non colludere con i ragazzi, con l’obiettivo di aiutarli a mettersi nei panni dei genitori, ma sinceramente non ci aspettavamo una analisi così attenta, spietata, e lucida dei genitori.
Lavorare con loro in aula è stato altamente stimolante, ma anche molto faticoso per mantenere, comunque, la giusta distanza e aiutare i ragazzi a comprendere la “buona ragione” della controparte.
In particolare i ragazzi hanno sottolineato la ripetitività dei genitori, poco stimolanti: “mi dicono sempre le stesse cose”, “l’unica cosa che mi dice è fai i compiti o fai il letto” e molti esprimevano il grande desiderio di essere maggiormente ascoltati, compresi: “non vogliono capirti!”. Una ragazza ha detto: “l’unica cosa che sanno i miei è che quando mangio poca verdura allora c’è qualcosa che non va”.
Autonomia e dipendenza. I ragazzi si sentono trattati ancora come bambini e vorrebbero invece essere riconosciuti come persone più grandi, con nuove necessità; hanno il desiderio di essere considerati come interlocutori degni nel rapporto genitori-adolescenti, non più come persone totalmente dipendenti da altri.
Il problema è che mentre da un lato vorrebbero essere riconosciuti come adulti, dall’altro faticano ad esprimere i loro nuovi bisogni pretendendo che i genitori intuiscano, quasi “magicamente” le loro nuove necessità.
Abbiamo quindi discusso su questo punto, mostrando come un atteggiamento di totale dipendenza è normale quando si è piccoli e per i genitori è abbastanza facile rispondere ogni desiderio e bisogno.
Con la crescita, mutando desideri e bisogni, è necessario aiutare anche gli adulti nel loro compito di educatori: se i ragazzi non vogliono più essere trattati da bambini non possono essere totalmente passivi, pensando che i genitori continuino a intuire i loro bisogni più profondi; possono e devono acquisire un ruolo più attivo nella relazione genitore/figlio per aiutare i genitori nel loro compito educativo.
Il rapporto di dipendenza dai genitori è in continua evoluzione, e abbiamo riflettuto con loro sui limiti di una pretesa indipendenza assoluta che non esiste. A questo proposito abbiamo commentato a lungo una vignetta di Snoopy che riassume in modo esemplare l’ambiguità del rapporto dipendenza/ indipendenza (fig. 2).
Fig . 2. Una delle immagini-stimolo usate in aula.
I compiti dei genitori. Abbiamo, inoltre, chiesto ai ragazzi di pensare a quali potessero essere i compiti dei genitori e i compiti dei figli. Loro stessi hanno riconosciuto fra i compiti dei genitori aspetti profondi, non banali come: “essere comprensivi”, “essere presenti”, “essere di sostegno nelle decisioni importanti”.
Abbiamo quindi riflettuto insieme che – mentre alcuni dei compiti dei genitori cambiano con il crescere dei figli, altri, come questi che loro stessi hanno indicato, sono costanti, non mutano con l’età: il rapporto fra genitori è figli è un rapporto di dipendenza/indipendenza che dura tutta la vita, in cui si è sempre semi-indipendenti.
Inoltre, sono emerse altre risposte per niente scontate fra i “compiti dei genitori” come “tenere unita la famiglia” o “essere presenti non solo nei momenti del bisogno, ma sempre”, ribadendo nuovamente il grande desiderio di essere capiti, di poter aver protezione, appoggio. “Mon mi aspetto nulla, soltanto di volermi bene e di capirmi”, ha detto uno di loro.
Esprimono il desiderio di fare nuove esperienze, di poter sbagliare e ci siamo soffermati sul tema della perfezione che spesso è stata citata fra i compiti e i doveri dei figli; una perfezione, però, che i ragazzi connotano in modo esplicitamente negativo.
Perfezione. Abbiamo provato ad indagare maggiormente le loro opinioni su questo tema ed è emerso che la richiesta da parte dei genitori a migliorarsi continuamente, a non accontentasi di quello che si ha già, cioè la tensione positiva che è insita nel tendere alla perfezione, viene recepita dai ragazzi come inadeguatezza al modello proposto dai genitori, generando paura dell’errore e l’impossibilità di tentare altre strade, non previste.
Il tema della perfezione, inoltre, è strettamente connesso alla scelta della scuola superiore: chi ha buoni voti si sente vincolato a scegliere una scuola superiore che non desidera, ma che per i genitori è quella “giusta” e “obbligata” per una “perfetta carriera scolastica”. Nella discussione abbiamo provato ad evidenziare il lato positivo del miglioramento continuo connesso alla perfezione, ma ci ha chiaramente colpito il senso di pesantezza e di chiusura che i ragazzi connettevano al concetto di perfezione.
I genitori. Ad un mese di distanza, il dirigente scolastico ci ha richiamati per poter fare un altro incontro – non previsto inizialmente – anche con i genitori degli alunni.
Purtroppo il lavoro non è stato del tutto produttivo in quanto i genitori sono venuti soprattutto mossi dalla curiosità di sapere quello che avevano raccontato i loro figli, più che dal desiderio di mettersi in gioco e riflettere su alcune delle questioni emerse.
Controllo. I genitori volevano soprattutto sapere quello che dicono e fanno i loro figli quando loro non ci sono, quasi in funzione di controllo, ma chiaramente non era quello il nostro obiettivo. Il lavoro quindi è stato molto più faticoso, meno ricco di scambi rispetto agli incontri con i ragazzi, con i genitori più in posizione difensiva e di ascolto indagatore che di apertura per riflettere sul loro ruolo educativo.
La domanda. Nonostante la fatica ad interagire e una certa insoddisfazione da parte nostra rispetto alle attese iniziali, ci ha colpito che al termine dell’incontro la richiesta dei genitori sia stata quella di fare un nuovo laboratorio, questa volta con loro insieme ai ragazzi.
Da una lato questa richiesta ci ha fatto indubbiamente piacere, come riconoscimento del lavoro svolto, dall’altro però ci ha fatto riflettere. Il terzo incontro, infatti, i genitori possono e devono farlo a casa, commentando con i loro figli le riflessioni emerse nel laboratorio, senza la presenza di un “esperto” terzo che faccia da moderatore.
Disarmati. La richiesta dei genitori, emersa nei saluti finali, al margine del laboratorio, è una domanda che non abbiamo potuto riprendere e commentare, ma sembra indice di un disagio profondo, di un senso di inadeguatezza di chi si trova a svolgere un compito educativo inedito rispetto al passato.
La sensazione è che questi genitori siano più “disarmati” rispetto alle richieste dei loro figli, meno pronti ad accogliere i loro bisogni, anche se abbiamo incontrato dei ragazzi capaci di riflettere, in cui il rapporto con la famiglia non era così problematico come a volte i luoghi comuni lo dipingono, conflittualmente sano e non patologico.
Ciò significa che finora i genitori sono stati sufficientemente buoni, anche se si sentono spiazzati, soli e senza modelli a cui riferirsi.
Vivono la storia d’amore con i propri figli con grande incertezza, senza un passato a cui potersi riferire e con un futuro carico di incognite: è normale il desiderio di conferme anche se l’unico aiuto che un “esterno” può fornire è aiutare i genitori a riconoscere la costitutiva conflittualità di questa speciale relazione educativa.
Siamo di fronte a ciò che Freud chiamava “mestieri impossibili”, nel senso che non è possibile educare senza entrare in relazione con l’altro: solo con un dialogo e un ascolto continuo tra genitori e figli è possibile far evolvere in modo generativo e creativo l’ambiguità e conflittualità che ogni rapporto di dipendenza/indipendenza genera.