Da una ricerca condotta dal Working Group Employee Communication dell’Università Iulm, emerge come gli strumenti della comunicazione interna siano essenziali per incentivare la relazione fra le persone. La ricerca è riportata anche da Il Sole 24 Ore che sottolinea come il dialogo fra manager e collaboratori sia essenziale per migliorare motivazione e coinvolgimento.
Nulla di nuovo, l’ennesima ricerca che conferma quanto in teoria si sa già e nella pratica si realizza poco.
Nonostante ciò, questa ricerca – e il modo in cui è stata presentata sui giornali – merita un approfondimento, perché anche in questo caso emerge una visione “ideale” del dialogo: un confronto “pacifico” dove tutti sono e più o meno d’accordo, in armonia, senza particolari contrasti.
Qual è il problema? Il problema è che se c’è dialogo, ci deve essere anche un sano conflitto.
Perché? Perché la pratica del dialogo è fonte di sviluppo solo se, si accetta e si riconosce l’alto contenuto conflittuale che comporta per gli attori in gioco: il lasciarsi “penetrare” dall’altro e il mettere in gioco le proprie certezze, le proprie sicurezze acquisite. È evidente che questa posizione genera una forte ansia di cui è importante prendersi carico e quindi un conflitto non banale.
Spesso si invoca il dialogo come panacea per risolvere un conflitto in atto, come se grazie al dialogo il conflitto potesse sparire; in altre parole si tende a considerare il dialogo come qualcosa di non conflittuale, di pacifico, anzi qualcosa che tende a disinnescare il conflitto: se c’è dialogo, non c’è conflitto. In realtà il dialogo, quando è vero e sincero, mette in discussione.
Il dialogo, come l’ascolto, è una pratica profondamente conflittuale per chi la pratica, perché ascoltare l’altro significa, almeno in parte, togliere spazio a se stessi a favore di un altro che oltretutto la pensa in modo diverso da noi.
Io intendo conflitto non come sinonimo di guerra, ma come incontro fra differenze. Si può usare anche la parola “contrasto” o “confronto” o altro ancora. Uso la parola conflitto perché molti studiosi più importanti di me usano questo termine, sottolineando il fatto che il conflitto sia costitutivo della relazione (vedi Luigi Pagliarani, Ugo Morelli e altri).
Affermare che il conflitto è costitutivo della relazione è una frase molto forte.
Vuol dire che dove c’è relazione c’è conflitto (inteso però non in senso negativo, ma come qualcosa che può evolvere in modo positivo e generativo o negativo e distruttivo). E quindi, partendo da questa posizione, il dialogo – in quanto relazione – ha sempre a che fare con il conflitto.
Ecco perché parlo di conflitto anche se per molti il dialogo è una comunicazione “serena”, in cui non si vuole imporre nessuna pensiero o posizione, semplicemente di descrivono le proprie idee in un confronto alla pari, senza violenze o litigi.
Parlo di conflitto perché due o più persone che hanno idee diverse e si confrontano in modo “pacifico” stanno facendo una cosa che non è affatto scontata e banale e lo possono fare solo se c’è una sana elaborazione del conflitto.
Quante persone in riunione non dicono nulla per paura di essere giudicate, per paura di ferire un altro, per il quieto vivere, per paura di mettere in imbarazzo un collega, per non apparire come dei rompiscatole ecc?
Non è facile dire di non essere d’accordo e il dialogo c’è proprio in queste situazioni: quando si confrontano punti di vista diversi.
Se si è d’accordo su tutto è un finto dialogo. Il problema è che troppo spesso si idealizza il dialogo come quel confronto “pacifico” dove tutti sono a loro agio e discutono amabilmente.
A volte queste situazioni sono le più pericolose perché si ha paura di rompere l’armonia, si ha paura del conflitto che si potrebbe innescare e quindi ci si auto-censura. In questo caso il dialogo è finto perché non c’è conflitto: lo si nega.
Ma il problema è a monte: si sta negando la conflittualità costitutiva del dialogo. Troppo spesso tendiamo a idealizzare i luoghi di lavoro, creando un immaginario dove regna razionalità e armonia, negando fatica, insofferenza, malessere, contraddizioni.
La foto pubblicata da Il Sole 24 Ore dove si vedono persone che lavorano e parlano sorridenti come a una festa non aiuta certo a riflettere sulla difficoltà e la fatica che il dialogo spesso comporta. E sul ruolo che i manager hanno per rompere questo immaginario che semplicemente si limita a negare i problemi senza affrontarli per davvero.
POST SCRIPTUM
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1 commento su “Scrivi dialogo e leggi conflitto. Altrimenti non è dialogo!”