E’ molto comune la metafora dello sport per descrivere il mondo dell’impresa.
Qualche giorno fa, per esempio, un articolo di Guido Romeo su Il Sole 24 ORE sottolineava il parallelismo fra giocare a basket e creare una start up .
Molto comuni sono anche i paralleli con il canottaggio o il rugby per sottolineare l’importanza del gioco di squadra o con gli scacchi per l’importanza della tattica e della strategia.
Chiaramente ogni metafora può aiutare a mettere in luce determinati aspetti e lo sport è sicuramente una palestra importante per imparare a dare il massimo e aver rispetto di compagni e avversari; a mio avviso, però, le metafore del mondo dello sport hanno due grossi limiti che rischiano di non far capire la specificità del mondo imprenditoriale.
Perché?
1) Lo sport è un gioco a somma zero, dove la competizione permette la vittoria di uno solo.
Il mondo del lavoro, invece, non è un gioco a somma zero: se una impresa del mio settore lavora male non è detto che io abbia più clienti, anzi!
Per esempio, se un l’albergo di un paese lavora male non è detto che gli altri alberghi lavorino di più; anzi probabilmente gli eventuali turisti decideranno di cambiare destinazione.
Mentre se un albergo lavora bene, il passaparola farà sì che ci sia più lavoro per tutti; inoltre, ogni albergo può differenziare il proprio target e la propria offerta in modo unico: pur facendo parte della stesso settore, nella pratica, ogni albergo farà un lavoro molto diverso dall’altro, per prezzo, servizi, accoglienza, ecc.
L’esempio che ho fatto, chiaramente, vale per tutti i settori, non solo quello turistico.
Questo ci riconduce alla seconda grande differenza tra lo sport e le imprese.
2) Nello sport le regole sono date e i giocatori sono tenuti a rispettarle.
Ogni impresa, invece, può creare un nuovo mondo, un nuovo mercato e nuove regole. Un imprenditore è un costruttore di mondi, è qualcuno che crea un prodotto o un servizio nuovo che cambia le regole del gioco.
Il problema di molte imprese nasce proprio quando in troppe giocano nello stesso campo con le stesse regole: è in quel momento che non c’è spazio per tutti.
È fondamentale, allora, cambiare prodotto o servizio: quando ci si riesce si diventa competitivi. Non perché si è meglio di altri, ma perché si è unici e senza competitors.
Non c’è bisogno di fare cose straordinarie, e investire miliardi in ricerca e innovazioni: qualche rischio è necessario prenderselo, ma è più un problema di mentalità che di investimenti e per chi lo fa ci sono ottimi margini di crescita.
Tante piccole e medie aziende italiane, lo stanno facendo e stanno crescendo a doppia cifra. Gli esempi sono tanti. Ne cito solo uno, perché mi pare esemplare.
In Romagna c’è una piccola azienda che fa bottigliette in plastica per il medicale.
Sono solo bottiglie di plastica, che non richiedono tecnologie estremamente particolari; solo che il medicale implica una lavorazione specifica, motivo per cui queste bottiglie costano € 2 l’una, invece di € 0,20.
Nessuno aveva mai voluto fare bottigliette che costano € 2 invece che € 0,2; invece loro lo fanno e il costo non è un problema perché le vendono ad un prezzo comunque vantaggioso.
Questa piccola azienda sta crescendo a vista d’occhio, sta assumendo nuovo personale e i fornitori che lavoravano per loro solo una settimana all’anno, ora lavorano per 6 mesi.
Ovviamente si sono presi il rischio di fare qualcosa di nuovo – tutto ciò che è nuovo non è detto che funzioni – ma non solo hanno il lavoro, ce l’hanno anche con ottimi margini, perché al momento non sono in competizione con nessuno.
Hanno cambiato le regole del gioco.
In conclusione, più che trovare le somiglianze con lo sport, sarebbe meglio trovare le differenze e comprendere che c’è molto più spazio per crescere e innovare di quello che si crede.
POST SCRIPTUM
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