Molto spesso la lamentela più comune verso le classi dirigenti (imprenditoriali e non) è che faticano a passare dalle parole ai fatti. Il classico luogo comune dice che “predicano bene e razzolano male” o che “sono bravi solo a parole” ecc.
Sempre più spesso, invece, mi rendo conto che i fatti che accadono e la crisi di tante imprese (e della politica) è strettamente connessa proprio alle parole usate. I fatti cioè sono legittima conseguenza delle parole e del linguaggio usato: non c’è alcuno scarto.
Osvaldo Danzi in un post su Linkedin del 18 luglio 2017 osserva: “Se eliminassimo dal vocabolario le parole “tradizione”, “innovazione” e “leader di mercato” il 90% delle aziende non saprebbero più cosa dire”.
E’ il sintomo che nella maggioranza dei casi le aziende non sanno cosa dire! Hanno pensieri poveri e linguaggi poveri e quindi usano parole vuote, alla moda ma che ormai non significano più niente. Il problema non è più quello di dare sostanza alle dichiarazione d’intenti. Il problema sono proprio le dichiarazioni d’intenti che sono ripetitive, banali, poco stimolanti.
Luciano Martinoli, commentando l’assemblea annuale dell’associazione degli industriali costruttori di macchine scrive:
“I mali del tessuto economico nazionale non sono affatto nascosti ma autodichiarati…
“Purtroppo tra le possibili strategie che Industria 4.0 può aiutare a realizzare – continua Martinoli – sono stati identificati solo un miglior servizio al cliente, un abbassamento dei costi, una maggiore flessibilità. Nessuno, ahinoi, ha citato la strada maestra, la strategia regina che ogni impresa dovrebbe cercare di perseguire sempre: quella genesi imprenditoriale che si realizza creando mercati che prima non esistevano. E se l’Industria 4.0 viene percepita solo come un modo per servire meglio il cliente, ne siamo ben lontani.”
Martinoli sottolinea che invece di parlare di strategia, di imprenditorialità, di senso, di progetti “si è parlato di supporto agli investimenti, di cultura dei fatti, di concretezza, di pratica, tutte cose che hanno portato il sistema industriale italiano ad avere il 20% di aziende che vanno bene, il 60% così e così, il 20% male. Detto in altri termini l’80% delle aziende ha urgente bisogno di ritornare ad una strategia di genesi imprenditoriale. Forse è ora, per quell’80%, di smettere di fare cose inutili o che interessano sempre meno” conclude Martinoli.
Il problema quindi è proprio nel linguaggio che riflette una la povertà di pensiero e di strategia: i fatti sono una logica conseguenza. Se davvero vogliamo cambiare i fatti e le azioni, proviamo ad usare nuove parole e nuovi linguaggi.
Osvaldo Danzi ha ragione: se eliminassero dal vocabolario le parole “tradizione”, “innovazione” e “leader di mercato” il 90% delle aziende non saprebbero più cosa dire”. Io aggiungo altre due espressioni da eliminare a cui ho dedicato altrettanti post: “competitività” e “valorizzare i prodotti locali”.
Usare altre parole non solo ci costringere a definire meglio il nostro pensiero, ma permettere di coinvolgere maggiormente anche il nostro interlocutore che finalmente smetterebbe di annoiarsi ad ascoltare, per l’ennesima volta, le stesse identiche e vuote parole.