Abitare l’incertezza ovvero prendere decisioni

Prendo spunto da alcuni post di Luciano Martinoli sulla differenza tra calcolo e decisione per ulteriori riflessioni su questo tema.

Intanto la premessa.

Siamo abituati a pensare che le decisioni migliori siano frutto di calcoli. Più preciso e corretto sarà il calcolo, migliore sarà la decisione.  In realtà, ci avverte Martinoli, prendere una decisione non ha a che fare con il calcolo.

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Filosofi e Data Analyst

Recentemente, durante una trasmissione radiofonica di una importante emittente nazionale, si parlava di come la tecnologia sta trasformando il mondo del lavoro.

Tanti lavori spariranno, ma al contempo ce ne saranno di nuovi: molti non siamo neanche in grado di immaginarli, altri invece stanno già emergendo. Per esempio possiamo facilmente ipotizzare che in futuro saranno sempre più ricercati coloro che si occuperanno di analizzare e confrontare i dati: in poche parole i Data Analyst.

Non è importante citare la trasmissione (si dice il peccato, ma non il peccatore). E qual è il peccato in questo caso?

Il peccato (o il problema) è il commento di chi conduceva la trasmissione che invitava i giovani verso lo studio delle materie tecnico-scientifiche: quelle che hanno più futuro.

Mi ha davvero colpito un commento così banale e pericoloso di un/a giornalista importante e seguito/a su una radio che in teoria dovrebbe fare informazione.

Perchè?

I dati vanno interrogati, bisogna pensare, riflettere, avere spirito critico, pensare fuori dagli schemi, porre domande nuove: per fare questo un aiuto può venire anche da artisti, filosofi, letterati, che aiutino a pensare l’impensabile a mettere in discussione l’esistente.

Parlo di commento “pericoloso” perché rischia di accentuare uno dei problemi maggiori dell’odierna istruzione che è l’eccessivo specialismo e la contrapposizione dei saperi.

Si parla tanto di cambiamento, ma spesso restiamo molto alla superficie del problema.

Il ripensamento necessario deve essere profondo e radicale, invece troppo spesso si tentano piccoli aggiustamenti senza mettere davvero in discussione la cornice di riferimento: le “norme” di un certo approccio organizzativo ed economico si danno per scontate, sono talmente incorporate da risultare “naturali”.

In altre parole si parla tanto di cambiamento, ma sempre di tipo 1, e raramente di tipo 2.

Il cambiamento di tipo 1 fa riferimento alle premesse del sistema. Tale tipo di cambiamento una volta messo in atto lascia il sistema invariato.

Poi vi è un cambiamento di tipo 2 che non fa riferimento alle premesse del sistema e quindi dall’interno del sistema può apparire paradossale, illuminante o assurdo. Tale cambiamento cambia il sistema stesso, ma è molto di più difficile.

Di fronte ad un problema, cioè, cerchiamo la soluzione senza mettere in discussione la cornice, come se non si potesse fare in modo diverso.

Come nel gioco dei 9 punti da collegare con 4 linee che anche Marianella Sclavi cita nel suo libro “Arte di ascoltare e mondi possibili”.

Quel gioco è difficile perché in modo “naturale” noi vediamo un “quadrato” e tendiamo a provare a risolvere il gioco stando dentro ai limiti del quadrato. In realtà il gioco si risolve uscendo fuori dai limiti del quadrato.

In questo modo:

Qual’ è il problema? Che il quadrato non è nella realtà. E’ nella nostra testa. Troppo spesso diamo per scontato che certe cose non si possono fare, o pensiamo che non si possano fare diversamente, fino a che qualcuno ci mostra che invece è possibile.

La formazione serve a questo. A vedere i quadrati che abbiamo in testa e che non sappiamo di avere.

Torniamo quindi ai lavori del futuro: i Data Analyst vanno benissimo, ma se il problema principale è quello di far emergere i dati, è necessaria una competenza che diventa sempre più importante: quella di saper porre le domande.

O. Wilde in un suo famoso aforisma scriveva “chiunque può dare risposte ma ci vuole un genio per fare le domande“; una battuta che al giorno d’oggi assume una rilevanza del tutto nuova.

Come tutte le competenze anche quella di fare domande va allenata.

Di fronte ai nuovi problemi posti da Internet, Big Data e Industria 4.0 è sempre più importante una formazione che ci alleni ad affrontare questioni irriducibili andando oltre alla classica separazione tra materie tecnico-scientifiche e umanistiche.

Vuol dire che la capacità di fare domande viene allenata solo dai percorsi di studi classici o umanistici? No! Guai a ricadere in una altro falso mito e in unaltra sterile contrapposizione.

Oggi più che mai è importante a cominciare a costruire un ponte fra linguaggi, molto diversi e lontani.

I linguaggi dell’uomo e i linguaggi della scienza e della tecnica hanno cominciato a separsi nell’800: ora hanno bisogno di incontrarsi di nuovo, per costruire un linguaggio interdisciplinare difficile, ma quanto mai necessario.

La scienza e la tecnica hanno sempre più bisogno di punti di vista diversi e nello stesso tempo le nuove scoperte scientifiche integrano in modo nuovo i saperi filosofici, storici, letterari.

Perché? Perchè è solo l’ALTRO che ci aiuta a vedere il nostro punto di vista e i suoi limiti (e i quadrati che abbiamo in testa!).

Ecco perchè le professioni tecnico scientifiche hanno sempre più bisogno di competenze “altre” che stimolino nuove domande, mettano in discussione l’esistente e aiutano a fare ipotesi, a pensare l’inedito.

Non perchè uno tipo di studio sia meglio di un altro, ma perchè è fondamentale superare lo specialismo. E’ forse un caso che Maria Montessori non fosse laureata in Lettere ma in Medicina? E’ forse pensabile l’informatica senza i contibuti di Russell, Frege, Boole, Godel, che sono in tutti i manuali di storia della filosofia?

E così mi pare assai limitativo pensare ad un data analyst con conoscenze solo tecnico-scientifiche.


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La conquista dell’abbondanza

E’ stato Feyerabend nel libro omonimo del 2002, a usare l’espressione “conquista dell’abbondanza”.

Feyerabend descriveva il processo attraverso cui noi conosciamo qualche cosa che ci si presenta inevitabilmente come abbondante, strabocchevole di segnali e informazioni.

“Il mondo in cui noi abitiamo – scrive – è abbondante al di là della nostra più audace710brs2jLGL immaginazione. Vi sono alberi, sogni, tramonti; temporali, ombre, fiumi; guerre, punture di zanzara, relazioni amorose; ci vivono persone, Dei, intere galassie […] Solo una piccolissima frazione di tale abbondanza influenza le nostre menti. Ed è una benedizione, non uno svantaggio. Un organismo superconscio non sarebbe supersaggio, ma paralizzato”.

Feyerabend si riferisce al processo di semplificazione che opera la scienza per conoscere i fenomeni, ma quest’opera di riduzione della complessità – assolutamente necessaria per conoscere la realtà – oggi assume un significato particolare, perché, per la prima volta nella storia, abbiamo accesso ad una quantità potenzialmente infinita di dati.

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